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Al Karama (Latina) «Una decisione anacronistica e dai costi sproporzionati. Un’alternativa c’è e costa 10 volte meno» 

 L’Italia è riconosciuta in Europa come il Paese più impegnato nell’implementare il “sistema campi rom”, un dispositivo architettonico abitativo parallelo, finalizzato a concentrare e segregare all’aperto, su base etnica, le comunità rom in emergenza abitativa. Attualmente nel nostro Paese si registra la presenza di 45 campi rom abitati da circa 7.100 persone e di 67 campi sinti dove risiedono circa 4.800 persone. Alla luce di alcune direttive europee e dei principi espressi dalla “Strategia Nazionale per l’Inclusione dei rom”, dal 2012 sono in atto progetti di superamento degli insediamenti rom al fine di programmare una fuoriuscita delle comunità ivi residenti verso abitazioni convenzionali. Negli ultimi anni decine di insediamenti sono stati superati e al 2018 risale, ad Afragola, l’ultima realizzazione di un insediamento per soli rom. Su scala nazionale ed europea, grazie al parere espresso da direttive e raccomandazioni di diverse istituzioni europee e ordinanze di Tribunali civili, la costruzione di un insediamento monoetnico è ormai riconosciuta come anti-storica e discriminatoria. 

Malgrado ciò il Comune di Latina, andando contro il trend nazionale, ritiene opportuno realizzare per la comunità rom attualmente presente nella struttura ex Rossi un nuovo insediamento monoetnico in sostituzione di quello denominato Al Karama e distrutto da un incendio avvenuto nello scorso luglio. Secondo i dati elaborati da Associazione 21 luglio, il costo dell’intervento – comprensivo delle spese per l’accoglienza nella struttura provvisoria dell’ex Rossi – ammonterebbero a circa 1,5 milioni di euro con un costo per una famiglia media di 4,5 persone, pari a 155.000 euro. 

In una lettera indirizzata lo scorso 23 gennaio al Commissario prefettizio del capoluogo pontino, Associazione 21 luglio, a seguito di un’approfondita analisi, ha illustrato l’irragionevolezza di tale scelta unita ad una proposta alternativa. 

«Nella struttura dell’ex Rossi – si legge nel testo – risultano presenti 21 nuclei familiari composti da 78 persone. Di essi 45 sono rappresentati da soggetti adulti e 33 da minori. Rispetto alla realtà di altri insediamenti presenti sul territorio nazionale, la peculiarità di questa comunità è l’alto livello di inclusione lavorativa, con famiglie che dispongono di un “contratto a tempo indeterminato” nel settore dei servizi (con relativi assegni familiari che, considerato l’alto numero di minori consente il raggiungimento di un reddito più che dignitoso); altre dove gli adulti hanno sottoscritto un regolare contratto stagionale; altri adulti svolgono l’attività di braccianti agricoli senza regolare contratto mentre per soli due nuclei si registra l’assenza di un reddito adeguato. 

La domanda che si pone nella missiva è: perché realizzare un nuovo insediamento su base etnica per una comunità all’interno della quale si contano anche nuclei familiari in condizione di potere – autonomamente o con un supporto economico – fuoriuscire da subito, autonomamente dalla struttura ex Rossi? 

Numeri alla mano, la soluzione che Associazione 21 luglio propone al Commissario prefettizio è quella, attraverso una divisione di fasce di disagio socio-economico, di disegnare soluzioni “sartoriali” per ciascun nucleo familiare presente nell’ex Rossi avviando, a partire da questa struttura, percorsi di fuoriuscita, senza la necessità di realizzare un nuovo insediamento monoetnico. Alla luce dei numeri elaborati, riporta Associazione 21 luglio, «si ritiene che, in tempi non necessariamente dilatati (massimo 6-8 mesi) e con un costo complessivo stimato non superiore a 160.000 euro (un decimo della spesa che comporterebbe l’operazione di apertura di un nuovo insediamento) si possa dare una risposta strutturale, equa, rispettosa dei diritti umani, sostenibile alla condizione nella quale versa attualmente la comunità». 

Perché non optare allora per scelte meno dispendiose e più adeguate sotto il profilo del buon senso? Nel corso dell’indagine svolta, sostiene Associazione 21 luglio, «abbiamo in realtà visto emergere nel contesto di Latina, un’azione, più o meno latente, di gruppi di interesse che spingono nella direzione della realizzazione di un’opera, come quella di un campo rom». 

«Nel corso del nostro storico lavoro sulle comunità rom in Italia e sulle politiche realizzate nei loro confronti – sostiene Carlo Stasolla di Associazione 21 luglio – abbiamo sempre osservato una costante: i rom muovono i soldi. E dove c’è movimento di denaro si registrano sempre interessi più o meno opachi che ruotano intorno. Su questo autorità locali, partiti politici e rappresentanze del terzo settore di Latina sono tutte chiamate a porre estrema attenzione». 

Alla luce delle considerazioni esposte, Associazione 21 luglio si è resa disponibile ad un incontro con il Commissario prefettizio al fine di chiarificare e dettagliare i termini della proposta avanzata. 

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